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Stiamo facendo abbastanza per contrastare l’odio online?

Oggi vorrei provare a parlare del cyberbullismo, si tratta di una tematica molto complessa. Per non entrare in meccanismi più grandi di me, vorrei limitarmi a dire che si tratta di una violenza sottovalutata a causa della scarsa consapevolezza dei più giovani – e non solo – ai rischi che si possono incontrare su internet.


In questo articolo vorrei fare una chiacchierata informale, quella che qui chiamiamo PcGenius Café per esprimere il mio pensiero e per poi sentire la vostra opinione nel box dei commenti in fondo alla pagina.

Non aspettare! In caso di pericolo per te o gli altri chiama subito le autorità competenti.

Non aspettare che sia troppo tardi, il bullismo ed il cyberbullismo possono rovinare per sempre la vita di una persona. Che tu sia la vittima o una persona che ha assistito ad un fenomeno di violenza psichica o fisica vai subito a denunciare i fatti. Protesti salvare la vita a qualcuno.

Le Autorità da contattare sono in primis il 112 e la Polizia Postale, per richiedere assistenza puoi anche chiamare l’1522 ovvero il NumeroRosa “Antistalking e antiviolenza”.

Tramite applicazioni come Where Are U e YouPol (per le emergenze immediate) o tramite il sito della polizia postale puoi anche presentare denunce, segnalazioni o chiedere assistenza completamente online.

1 giovane su 10 ha subito cyberbullismo

Del Cyberbullismo se ne parla molto poco eppure può provocare danni irreparabili. Un articolo de La Stampa riprende alcuni dati che per me sono veramente impensabili: più del 50% dei ragazzi tra gli 11 ed i 17 anni ha subito almeno un episodio di bullismo. Di quel campione, il 22% ha dichiarato di essere stato vittima (anche) di cyberbullismo.

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Riassumiamo un attimo, non vorrei aver capito male: 11 giovani su 100 sono vittime di cyberbullismo, se parliamo di bullismo tradizionale invece la quota sale ad un giovane su due. Sbaglio o c’è qualcosa che non va?

Il problema secondo l’articolo, che continua a macinare dati su dati, estrapolati da un’infografica di Social Warning è la mancanza di figure di riferimento (infatti un giovane su 10 non sa a chi rivolgersi) mista al mancato dialogo con i genitori (47% del campione).

Mi trovo d’accordo con le conclusioni dell’autore, se quei ragazzi non sanno a chi rivolgersi e non trovano il coraggio o un’apertura mentale tale da rivolgersi alla propria famiglia c’è molto su cui possiamo lavorare.

Un’articolo più recente rispetto ai dati raccolti è sicuramente quello di Angesir che riporta un dato altrettanto spaventoso: il 37.7% dei giovani (ragazzi e ragazze dai 5 ai 22 anni) va in ansia se non può collegarsi a internet mentre il 40% prova delusione se non riceve like ai post o richieste d’amicizia sui social.

Tutto questo in un contesto dove ormai è noto come i social se usati male possono provare ansia e depressione.

Stiamo facendo abbastanza per migliorare?

C’è una legge ad-hoc sul cyberbullismo

Siamo stati i primi, qui in Italia rispetto a tutta Europa, ad attuare una legge volta proprio a difendere chiunque dagli atti persecutori e discriminatori online, nel 2017 nel nostro ordinamento giuridico infatti è entrata in vigore la Legge Ferrara. Le parole della senatrice Elena Ferrara per descrivere la sua propria in un’intervista a La Stampa sono state queste:

I reati e le conseguenti sanzioni esistono già nel nostro ordinamento giuridico: dallo stalking alla diffamazione, dal furto d’identità alla diffusione di materiale pedopornografico. I ragazzi devono essere coscienti del disvalore delle condotte del bullo, ma lo stesso disvalore va attribuito a chi omertosamente mostra indifferenza o chi, all’interno del branco, rafforza la condotta aggressiva. I minori quando insultano o ridicolizzano qualcuno sui social non hanno di fronte una persona in carne ed ossa, il suo dolore, le sue lacrime, ma una tastiera. Dobbiamo aiutarli ad essere più empatici e ad avere un controllo etico anche se nascosti da uno schermo. Questa legge non ha carattere repressivo, bensì educativo, preventivo e di cura proprio come mi hanno chiesto i tanti giovani che in questi anni ho incontrato nelle scuole di tutta Italia. L’intento è quello di preferire percorsi riparatori e di reinserimento per i colpevoli, tenendo ragazze e ragazzi fuori dal penale non per buonismo, ma per poter recuperare i soggetti che sono in età evolutiva. Per questo la norma prevede che i minori che compiano atti di cyberbullismo possano essere ammoniti, come detto, dal Questore che può anche decidere di inserirli in un percorso sociale o di messa alla prova, al fine appunto di recuperarli. Anche considerando come spesso proprio gli autori di atti di cyberbullismo siano stati a loro volta vittime di comportamenti simili.

Poi le viene chiesto il perché di tutto questo odio – gratuito ed inutile – online.
Riporto anche questa parte:

Nella maggior parte dei casi questi gesti sono commessi banalmente per acquisire una notorietà digitale, per la visibilità, per aver più “mi piace” rispondendo ad un bisogno identitario di autoaffermazione. Nei ragazzi si sono sempre osservati atteggiamenti di tipo prevaricatorio, tuttavia la rete, amplificando queste condotte, ci pone di fronte ad un nuovo fenomeno che poggia il suo triste successo sulla mediazione dello schermo e sull’illusione dell’anonimato. L’autore di questi comportamenti, spesso troppo precocemente esposto ad un utilizzo inconsapevole del mezzo, non matura la percezione critica del suo operato, non respira la sofferenza della vittima. Ecco perché diviene sempre più importante l’azione educativa della scuola e della famiglia

Insomma i bulli che agiscono – forse – fanno parte di quel 40% di teenager che cade in depressione per i like e la copertura. Probabilmente anche le vittime fanno parte dello stesso gruppo. Ovviamente non ho alcuna base per poterlo affermare con certezza. Quello che è sicuro è che va incentivato anche da parte dello stato un sistema che vada a fermare questi fenomeni incresciosi.

La Legge Ferrara, secondo me, va nella giusta direzione perché prevede:

  • delle tempistiche certe per la rimozione dei contenuti inappropriati,
  • la possibilità di rifarsi, qualora l’oscuramento non avvenga in tempi utili, al garante per la protezione dei dati personali,
  • una procedura di ammonimento in questura per i genitori del bullo ed il bullo,
  • la stesura di un piano d’azione integrato,
  • la stesura di un codice di coregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo,
  • la promozione di un corretto comportamento in rete e l’uso consapevole di internet anche attraverso la prevenzione e l’educazione continua nelle scuole,
  • il finanziamento di bandi, concorsi ed iniziative volti a favorire l’educazione alla legalità.

Il problema è ascoltare, comprendere ed aiutare

Ora che il problema della rimozione dei contenuti è “risolto” però bisogna lavorare anche dentro e fuori il contesto scolastico. La promozione di iniziative sulla legalità deve – se già non succede – coinvolgere i genitori dei potenziali bulli sennò è tutto inutile perché quei ragazzi vengono ripagati e non puniti se fanno qualcosa di brutto al loro rientro a casa. Allo stesso tempo bisogna comunque ricordarsi che sia le vittime che i bulli sono persone, tutte con potenziali problemi da risolvere.

  • La vittima può imparare a reagire, ad essere più forte
  • Il bullo deve comprendere che le azioni svolte hanno delle conseguenze, deve capire il concetto di etica e della limitazione della propria libertà “di manovra” qualora intaccasse la libertà di qualcun altro.
  • Entrambe le figure potrebbero essere negativamente influenzate dal contesto sociale ed economico in cui vivono, ma questo forse è un altro discorso.

Personalmente ho conosciuto il mostro del bullismo, in forma sia fisica che psicologica. Ad essere stato di grande aiuto, all’epoca, è stato lo sportello d’ascolto scolastico ed il sostegno della mia famiglia con la quale ho sempre potuto parlare e confrontarmi.

Lo sportello d’ascolto non era molto incentivato, tant’è che sono stato uno dei pochi nella scuola ad avere l’ “intraprendenza” di farne uso (ne parlerò meglio tra qualche riga). Ciò che è certo è che gli insegnanti di allora non sono stati di grande aiuto perché spesso succede che i professori superficialmente gestivano gli alunni sempre empatia e senza immergersi nei problemi che un adolescente può avere nel corso della sua vita scolastica.

Molti miei compagni lo sportello d’ascolto lo sentivano come un problema: andarci era “brutto”. Non hanno mai usufruito del servizio perché era da “sfigati” o da “deboli”. Anzi se tuti riuscissero ad affrontare i loro problemi discutere tra di loro o se necessario utilizzando questo strumento si potrebbe migliorare sensibilmente la qualità dei rapporti studente-studente e studente-istituto scolastico.

Personalmente trovo che si tratti di un servizio che tutte le scuole di ogni ordine e grado, incluse le università, dovrebbero avere e potenziare.

Una volta lessi una frase che mi ha dato molto da pensare: “Se è normale andare dall’estetista o andare in palestra per curare il proprio aspetto ed il proprio corpo, perché è strano andare da qualcuno che può aiutarti a migliorare la propria personalità?”

Le iniziative ci sono e stanno facendo la differenza

Negli ultimi anni uscendo dal Liceo ed entrando all’Università, ho imparato ad essere consapevole delle mie potenzialità e capire meglio il contesto sociale in cui vivo.

Mi è sempre piaciuta la tecnologia per questo ho aperto questo blog e per questo sono riuscito a partecipare, nel tempo, ad eventi o iniziative che fossero strettamente legati a questo settore.

ParoleOstili

Per quanto riguarda il cyberbullismo l’evento che mi ha colpito di più si tiene ogni anno a Trieste più o meno agli inizi di Giugno. Chi legge spesso queste pagine sa che mi sto riferendo a Parole_O_Stili. Una o più giornate, quest’anno in solo streaming vista l’emergenza Covid-19, sull’uso sano e corretto delle parole da usare in rete contro l’hatespeech e qualunque forma di odio (non solo online).

ParoleOstili ha creato una manifesto della comunicazione non ostile che poi, nelle vari edizioni è stato declinato in diversi ambiti. Al momento esiste il Manifesto originale unito a 7 derivazioni: politica, pubblica amministrazione, aziende, infanzia, sport e inclusione.

I punti focali sono dieci e andrebbero presi come un mantra da seguire a vita, li cito solamente:

  1. Virtuale è reale.
  2. Si è ciò che si comunica
  3. Le parole danno forma al pensiero
  4. Prima di parlare bisogna ascoltare
  5. Le parole sono un ponte
  6. Le parole hanno conseguenze
  7. Condividere è una responsabilità
  8. Le idee si possono discutere.
    Le persone si devono rispettare.
  9. Gli insulti non sono argomenti.
  10. Anche il silenzio comunica.

Quanta verità in dieci righe, vero? Sinceramente mi sono emozionato quando mi sono approcciato per la prima volta all’iniziativa, finalmente qualcuno che si è impegnato a trattare bene l’argomento e a fare le cose veramente in grande.

Su PcGenius puoi trovare alcuni articoli sulle passate edizioni di ParoleOstili, qui trovi i link per la prima, la seconda e la quarta edizione dell’evento.

Chi Odia Paga

Dopo ParoleOstili, che conti alla mano ho scoperto nel 2017, su Instagram e Facebook ho avuto modo di trovare una bellissima pagina Facebook con un profilo instagram altrettanto meraviglioso chiamato “Chi Odia Paga”. Si tratta di una startup “legaltech” che oltre a dare ottimi consigli sui social offre dei servizi (a pagamento) di assistenza legale a chiunque ne abbia bisogno. Dopotutto, se devi passare per un avvocato comunque dovresti pagargli la parcella, quindi perché no.

Il loro profilo instagram condivide moltissime informazioni utili, ad esempio ho potuto trovare queste due immagini che ri-condivido con piacere.

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Queste infografiche derivano dal Digital Civility Index Reports 2020 e non includono più solo i giovani ed i teenagers italiani. In ogni caso capiamo che il 60% dei giovani ha sperimentato l’odio online ed il 50% ha chiesto aiuto ai genitori. Gli “argomenti” – come se ce ne fossero – che guidano l’odio online sono l’aspetto fisico, l’orientamento sessuale, l’orientamento politico, l’etnia e le relazioni.

Oggi offendere non costa nulla, è facile e veloce. La difesa, al contrario, è costosa, richiede tempo, sembra inaccessibile. C’è uno spread di giustizia tra offesa e difesa che vorremmo colmare: non è giusto che solo i ricchi possano tutelarsi legalmente se vengono insultati sui social

Ceo, “Chi Odia Paga”. Estratto della sola citazione, articolo originale di Repubblica disponibile qui.

Nei canali social vengono pubblicati anche consigli legali basati sugli esiti del GDP, della Cassazione o di vecchi casi finiti in tribunale.

Odiare ti Costa

Un’alternativa non aziendale rispetto all’iniziativa precedente è sicuramente Odiare Ti Costa. Si tratta di una compagna d’informazione e di sostegno promossa dall’associazione “Pensare Sociale” che offre anche assistenza legale per i casi più gravi di odio online.

La segnalazione si richiede tramite il sito web passando per un modulo dedicato, una volta compilata l’associazione prenderà in carico il caso.

Movimento Etico Digitale

Dopo ParoleOstili sono gli unici che ho incontrato nel cammino dei miei 22 anni a parlare nel mondo dei giovani e nelle scuole dei pericoli che si possono incorrere nella rete. SocialWarning è una associazione creata dal Movimento Etico Digitale, si tratta di un gruppo di ragazzi che nel tempo è cresciuto e che è riuscito a portare molto avanti un progetto di formazione al digitale da portare – come detto – nelle scuole.

Se tra voi lettori di questo articolo c’è qualche insegnante o formatore che vuole portare il movimento in classe, questo è il link per mettersi in contatto con loro per proporre un progetto da portare, insieme, nella propria scuola o istituto.

Iniziative Governativa

1522 – Numero Rosa

Premesso che la violenza non ha genere è doveroso comunque sottolineare come il bullismo, il cyberbullismo ed in generale la violenza domestica siano tutti abusi che colpiscono principalmente le donne. Repubblica sottolinea che una ragazza su tre è stata vittima di cyberbullismo. LaStampa in uno studio afferma che “delle 123 donne uccise nel 2017 (dato Istat), 44, cioè un terzo, sono state assassinate dal partner e altre 10 dall’ex partner, per un totale di 54. Gli uomini assassinati dalla propria partner o ex partner sono stati 8. In sintesi l’80,5% delle donne uccise è vittima di una persona che conosce: nel 43,9% dei casi è un partner, nel 28,5% un parente (inclusi figli e genitori) e nell’8,1% un’altra persona conosciuta. La situazione è molto diversa per gli uomini: nel 32,1% dei casi sono stati uccisi da una persona che non conoscevano: la quota di uomini uccisi da conoscenti è pari a solo il 24,8%, un terzo del corrispettivo valore delle donne.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso il Dipartimento per le Pari Opportunità offre un servizio di assistenza contro lo stalking e la violenza rivolto principalmente alle donne, si chiama 1522 e viene comunemente chiamato “Numero Rosa”.

Su PcGenius avevo scritto un piccolo articolo a riguardo in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne approfondendo proprio l’1522 e le applicazioni, per lo smartphone, che possono aiutare una donna a mettersi in salvo e a chiedere aiuto, il pezzo lo potete leggere qui.

114 – Emergena Infanzia

Il corrispettivo dell’1522 per i minori è il numero “Emergenza Infanzia” che si può raggiungere chiamando il 114. Anche questa è una iniziativa governativa, promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso il Dipartimento per le politiche della famiglia. In alternativa è possibile anche usare il sito web che tra i servizi propone anche la segnalazione online di potenziali abusi anche in televisione, alla radio o in generale nel mondo del digitale.

EU/ITA // No Hate Speech Moovment

Ultima ma sicuramente non meno importante è la campagna NoHate Moovement Italia che viene coordinata dal progetto “No Hate Campaign” promosso dal Consiglio d’Europa insieme a moltissimi altri progetti di altri stati membri aderenti.

Loro sono molti attivi sui social e meno sul sito internet istituzionale, lo scopo è quello di informare e promuovere il sano uso della rete. Vi consiglio di seguirli su Twitter, social dove le precedenti campagne non sono state presenti allo stesso modo.

E quindi? Stiamo facendo abbastanza?

Ok, cerchiamo di portare tutto questo “tema di italiano” a conclusione.

Abbiamo visto che i numeri non sono incoraggianti, che c’è una legge – la prima in europa – a introdurre il reato di cyberbullismo, vicino ai reati pre-esistenti come lo stalking, il revenge porn (avete letto cosa è successo su Telegram a riguardo? Non approfondisco oltre perché sennò allungherei troppo già questo articolo molto lungo) e la diffamazione.

Abbiamo visto come non manchino campagne governative, di aziende o di associazioni volte ad aiutare o assistere anche legalmente chi è vittima di odio online.

Cos’è che manca?

Io dico la mia, è la mia opinione e quindi è sicuramente opinabile: manca la sensibilizzazione e la formazione, soprattutto a scuola e tra i genitori. Non è che non ci siano i progetti che tentano di fare qualcosa in classe (vedi ParoleOstili e Movimento Etico Digitale) il problema è che lo Stato dovrebbe fare di più per aiutarli, sostenerli ed appoggiarli anche con progetti trasversali che includano i genitori ed i formatori.

É con la sensibilizzazione che si vince questa giusta battaglia contro l’odio: aiutando, ascoltando, sostenendo chi ne ha bisogno, segnalando chi commette questi abusi e fornendo aiuto alle vittime.

Segnala

Scritto da Massimiliano Formentin

Sono sempre stato un appassionato di tecnologia, il mio scopo con PcGenius è condividere questa mia curiosità con il mondo intero. Nella vita faccio anche altro: suono il pianoforte e mi occupo di web.