Apple lo aveva preannunciato e come promesso, dopo mesi e mesi di scalpore e scandalo tra gli addetti del settore, la funzionalità anti-tracciamento di iOS è arrivata. Chi deciderà di abilitare il blocco impedirà agli inserzionisti di tracciare l’attività dell’utente nelle app e siti web di terze parti. Basterà per impedire l’abuso dei dati?
Quando usi un’app sul tuo iPhone, potrebbe apparire un messaggio come questo. È la nuova notifica per la trasparenza del tracciamento nelle app.
Una funzione che ti offre una scelta: quella di decidere come le app usano e condividono le tue informazioni.
Per esempio la tua età, posizione, salute, abitudini di consumo, contatti e la tua cronologia web. Questi dati contribuiscono a tracciare le tue corse, taggare le tue foto o monitorare la tua posizione, per offrirti sconti nei negozi vicini. Ma alcune app hanno dei tracker integrati che raccolgono più informazioni del necessario, condividendole con terze parti come inserzionisti e aziende di dati.
Grazie a queste informazioni le app creano un tuo profilo digitale che vendono ad altri. Queste terze parti poi ti inviano pubblicità basate sul tuo profilo, che viene anche utilizzato per prevedere e influenzare le tue abitudini e decisioni.
Tutto ciò succede a tua insaputa e senza il tuo permesso. Le tue informazioni sono in vendita. Adesso tu sei un prodotto.
Per questo da ora iPhone ti farà una semplice domanda: “Consenti alle app di raccogliere i tuoi dati?” Se sei d’accordo, i tuoi dati potranno essere condivisi con terze parti per personalizzare le inserzioni o per creare il tuo profilo digitale.
E se non lo sei? Ecco che entra in gioco questa funzione. Qualunque sia la tua scelta, sta a te decidere cosa fare. […]
Apple in iOS 14.5 ha introdotto la Trasparenza del tracciamento nelle app, si tratta di un interruttore disponibile nelle impostazioni del telefono, sotto la voce privacy, che consente all’utente di scegliere se permettere alle applicazioni – nel concreto – di accedere all’IDFA oppure no.
L’IDFA è un identificatore pubblicitario del tutto similare a quelli proposti dalle controparti come l’AAID proposto da Google, serve a tracciare le attività dell’utente anche quando non sta utilizzando l’applicazione originale dalla quale è partita la richiesta o l’attività iniziale. Qualcuno potrà chiedere di scrivere come mangio, detto fatto: l’IDFA è un etichetta che ci viene data, una per ogni dispositivo, serve per farci riconoscere mentre usiamo il telefono.
Bloccare l’identificatore non impedirà l’assoluto blocco delle pubblicità personalizzate, le app saranno sempre in grado di mostrarcele utilizzando le informazioni che abbiamo fornito loro, ma solo dentro di esse. Tutte le informazioni dovranno quindi essere di prima parte e non basarsi su partner o brokeraggio di dati con società che li rivendono creando un nostro profilo da consumatori. A queste serv(e/iva) l’IDFA, lasciare che le aziende creassero un nostro identikit.
Indice
Le reazioni
Google ha fatto sapere che rimuoverà tutte le funzionalità legate all’IDFA dalle proprie applicazioni su iOS.
Dopotutto, se vogliamo parlare terra terra come abbiamo fatto prima, per tracciare gli utenti esistono sempre altri modi. Uno dei tanti ad esempio è il fingerpriting che però rischia di non essere così affidabile come nel passato (secondo Repubblica l’affidabilità scende fino all’80%).
C’è da dire una cosa, forse sottovalutata da alcuni: il fingerprint è utile, certo, ma basandosi su Font, Estensioni, Dimensioni dello Schermo, Plugin e così via può funzionare solo sui dispositivi mobili non Apple. Dopotutto, le dimensioni dello schermo su iPhone è standard e dipende solo dal modello, i plugin non esistono, le estensioni neppure ed i font personalizzati seppur disponibili sono limitati.
Niente nella vita è infallibile e nessuno fa niente per niente. In Google bolle qualcosa in pentola? Staremo a vedere (forse i Floc)!
Nei mesi passati però la posizione non era rosea come può sembrare all’apparenza.
A Facebook le piccole aziende solo il principio del nostro business. Più di 10 milioni di aziende usa i nostri strumenti ogni mesi per trovare nuovi clienti, assumere dipendenti e interagire con la propria comunità.
Molte piccole imprese hanno dei dubbi sugli aggiornamenti forzati di Apple che limitano le possibilità delle aziende di mostrare la pubblicità personalizzata raggiungendo in modo così efficace i proprio consumatori.
Secondo uno studio di Deloitte, il 44% delle piccole medie imprese ha incominciato o è cresciuta usando la pubblicità personalizzata in tempo di pandemia. Senza la pubblicità personalizzata gli advertiser vedranno un decremento del 60% nelle vendite per ogni dollaro speso in pubblicità.
Limitando la pubblicità personalizzata per le grandi imprese come noi rischiano di devastare dei piccoli business aggiungendo molte sfide a quelle che già devono affrontare.
Le piccole imprese meritano di essere ascoltate.
Facebook SpeakUpForSmall
Noi ascoltiamo i vostri dubbi, e combattiamo insieme a voi.
Unisciti a noi su fb.com/SpeakUpForSmall
Facebook quindi sostiene non che l’IDFA sia necessario ma che la pubblicità personalizzata non sia un mostro da demonizzare. Conoscere gli interessi degli utenti consente alle aziende di promuovere i propri prodotti o servizi oppure la propria immagine e raggiungere così i clienti giusti, escludendo tutti gli altri. La campagna SpeakUpForSmall che è tutt’ora in corso di svolgimenti negli Stati Uniti punta proprio a sensibilizzare il grande pubblico in questo senso.
Il Social Network di Zuckemberg non ha tutti i torti: sarà più difficile raggiungere le persone nelle app senza l’IDFA. Rischiamo quindi di tornare indietro sui nostri passi e mostrare agli utenti pubblicità a caso, guadagnando terreno sotto il punto di vista della privacy. Entra in gioco quindi un meccanismo forse non ancora equilibrato tra marketing e difesa dei dati personali.
La contro-risposta a sentir Apple però non è punire chi mostra pubblicità personalizzata agli utenti ma far fuori chi, abusando del gran potere donato all’IDFA, ha generato degli identikit personalizzati di ogni utente per tracciarlo e bombardarlo così a suon di email, pubblicità, modificando le pagine web in base alle sue preferenze e così via.
Facebook con iOS 14.5.1. ha inserito all’interno delle sue applicazioni, la richiesta al consenso per il tracciamento dell’IDFA:
Tutto bello, Apple dove ci guadagna?
Per rispondere a questa domanda purtroppo o per fortuna devo scendere dall’oggettivismo che ho tentato di potar fino ad ora e portare a chi legge queste righe il mio modesto parere. Apple fa tutte queste mosse a tutela della privacy principalmente perché analizzare i dati in modo specifico non porta all’azienda alcun benefit diretto. Apple non tratta dati personali per rivenderli in pubblicità. Non c’è un motore dietro né un sistema di lucro così profondo per gli inserzionisti e per chi mostra la pubblicità all’interno delle applicazioni.
Niente vieta, ma qui saranno le autorità locali ad intervenire, ad Apple di sfruttare le nuove funzioni per portare acqua al proprio mulino e creare un sistema anticoncorrenziale dove i suoi sistemi sono preferiti. Non abbiamo armi a nostra difesa ed in nostro possesso per capire se ciò avverrà o sta avvenendo già adesso.
Sarà una soluzione valida per il futuro?
Non da sola. Il web si sta muovendo per portare l’utente al centro dell’attenzione. In Europa e nel mondo le varie legislazioni locali – a volte, lasciatemelo dire “confondendo le acque” – stanno tentato di normare la privacy e il potere delle grandi compagnie nell’interesse dei propri concittadini.
Il blocco dell’IDFA riguarda principalmente i soli utenti mobili Apple (i clienti che posseggono un iPad o un iPhone) ma esclude tutti gli altri. Su Android probabilmente ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che possa passare una linea del genere sul Play Store. Poi c’è il problema (o non problema, dipende sempre dai punti di vista) degli store alternativi: sul libero mercato sono una manna dal cielo, sulla privacy sono un rischio dato che viene meno la moderazione per la pubblicazione del contenuto.
Il futuro è ancora da scrivere ma qualcosa si sta già muovendo: Google ad esempio ha proposto – per ora invano – i FLOC (Federated Learning of Cohorts), uno standard che mette insieme gruppi di persone con gli stessi interessi. Il problema è la privatizzazione del nuovo standard che secondo W3C rischia di essere la punta dell’iceberg per intrappolare buona parte del web libero.
Steve Jobs all’All Things Digital Conference del 2010, disse che prima di usare i dati degli utenti bisogna sempre essere chiari, trasparenti sulle intenzioni e sopratutto bisogna chiedere. Vorrei quindi concludere l’articolo salutandovi con le sue parole:
“Penso che le persone siano intelligenti e che alcune vogliano condividere più dati di altre. Quindi chiedi. Chiediglielo ogni volta. Fino a quando non ti diranno di smetterla perché si sono stancate di sentirselo chiedere. Spiega con precisione alle persone cosa farai con i loro dati.”.